Il fiore dell’eleganza popolare.

Il titolo della presente relazione prende spunto da uno dei capitoli de Il Segreto de Quattrocento di Fausto Torrefranca edito da Hoepli nel 1939. Anche se parte della più recente musicologia ha espresso alcuni dubbi sulla metodologia utilizzata dall’importante studioso, valido resta il nesso intravisto dal Torrefranca fra la musica popolare o popolaresca del XV secolo e le forme della frottola e della villotta che influenzarono lo sviluppo del madrigale.
Molto è stato scritto circa gli influssi che la Musa Popolare ha avuto sulla sua più titolata sorella “Colta” e, naturalmente, analizzare l’enorme materiale a disposizione a questo proposito esula dallo scopo di questi appunti. Però è ormai unanimemente accettato che i repertori popolari italiani, ma non solo, e le loro prassi esecutive hanno avuto – ed ancora hanno – un notevole influsso sulla musica d’autore anche andando al di là delle semplici contrapposizioni fra orale e scritto o fra cultura elitaria e di massa.
Nell’ambito della ricerca musicologia per “musica popolare” viene intesa un tipo di arte che utilizza procedimenti creativi diversi da quelli certamente più variati ed ingegnosi della composizione artistica. In quest’ottica, allora, è possibile affermare che il pensiero del Torrefranca trova in qualche modo conferma in musiche ancora più antiche di quelle quattrocentesche. Altri ricercatori, come esempio Nino Pirrotta (Tradizione orale e tradizione scritta della Musica in Musica tra il Medioevo e il Rinascimento, Einaudi 1984), hanno intravisto nelle composizioni presenti in codici trecenteschi una palpabile eco di quel contrappunto improvvisato di marca squisitamente popolaresca.
Se un tipo di ricerca consapevolmente scientifica e filologica riguardante la musica popolare possa aver avuto precedenti molto antichi è cosa controversa e, certamente, non è questa la sede per poter affrontare l’argomento. Però vale la pena di ricordare che, per esempio, nel 1577 il musicista, teorico e musicografo Francisco Salinas diede alle stampa a Salamanca il suo De Musica Libri Septem riportando numerosi antichi temi popolari spagnoli. Per questo motivo verrà poi nel secolo XIX indicato da Felipe Pedrell come il primo “folklorista” di Spagna.
Senza dubbio è possibile scorgere, nel periodo in bilico fra Settecento ed Ottocento, uno studio con fondamenti scientifici e musicologici nelle ricerche degli intellettuali europei, nel pensiero dei quali si era fatta lentamente strada l’opinione che la musica del popolo, lungi dall’essere grossolana, è ammantata da un’autentica validità artistica. Per il filosofo e scrittore tedesco Johann Gottfried Herder (1744 –1803) la musica del popolo non è cosa vile ma vera espressione di un non banale romanticismo. Tale pensiero trova riscontro nel paziente lavoro di ricerca di altri brillanti pensatori con interessi letterari ma anche musicali come i fratelli Grimm, Achim von Arnim e Clemens Brentano.
All’epoca d’oggi, nel mondo post-moderno, l’Etnomusicologia è riuscita ad occupare un posto ben definito nell’ambito della musicologia. I ricercatori, i musicisti ed i musicologi, fra Ottocento e Novecento, (da Bartók a Janáček per giungere anche agli italiani Balilla Pratella, Carpitella e Leydi solo per citarne alcuni), portarono avanti i loro notevoli studi anche grazie alle ricerche di coloro che furono in qualche maniera i pionieri di questo genere.
Oltre agli studiosi d’area germanica sopra ricordati, vale la pena di accennare a personaggi come il filosofo Jean Jaques Rousseau, il gesuita Jean Joseph Amiot, il musicografo Guillaume André Villoteau che nel XVIII secolo contribuirono a far conoscere all’occidente la musica popolare non solo europea.
Il mondo anglosassone fu forse il primo a mostrarsi particolarmente ricettivo nei confronti della musica popolare. Ben noto è il fatto che Walter Scott, ma non solo lui, occupi un posto di rilevo per le sue ricerche e le sue reinterpretazioni dei canti giullareschi scozzesi. Ma questo prezioso lavoro è frutto di una serie di indagini e rielaborazioni precedenti ed in questo contesto è possibile situare i lavori e gli arrangiamenti di uno dei più geniali compositori del Settecento: Joseph Haydn.

I Folksong di Haydn
Per lungo tempo gli arrangiamenti di Haydn dei canti popolari scozzesi, irlandesi e gallesi hanno goduto, in confronto al ragguardevole numero di capolavori di questo musicista, di minor fama e, conseguentemente, di minori occasioni di esecuzione. Tornati disponibili in edizioni moderne hanno iniziato ad avere una certa notorietà solo dal 2005. Le edizioni moderne sono certamente utilissime ma il ritorno a quelle antiche e ad uno strumentale vicino all’esecuzione originale offre una peculiare prospettiva di lettura.
L’uso di arrangiare conti popolari provenienti dal folclore gaelico era molto diffuso nel mondo anglosassone fra la fine del XVIII secolo e l’inizio di quello seguente. Editori come Thompson o Whyte ad Edimburdo e Napier a Londra, consapevoli di quanto questa moda potesse portare ad incrementare le vendite dei loro prodotti, commissionarono anche a musicisti di prim’ordine questa tipologia di adattamenti. Non solo Haydn ma anche Beethoven, Weber, Hummel e prima di loro Barsanti, solo per citarne alcuni, diedero il loro contributo a tale tendenza. Indubbiamente il fatto che tale lavoro fosse ben retribuito fece sì che musicisti di tale valore operassero a quella che potrebbe, a prima vista, sembrare un semplice lavoro artigianale. Certamente, però, vista l’attenzione e la cura che posero in tale lavoro non mancò anche una buona dose di intelligente curiosità e grande sensibilità artistica.
Haydn fu tra i primi a lasciarsi affascinare dal repertorio popolare probabilmente anche per la particolare formazione musicale avuta nell’infanzia. Il padre, Mathias, era un artigiano che viveva riparando o costruendo carri mentre la mamma, Anna Maria, aveva lavorato come cuoca. La famiglia viveva in un piccolo comune ma la musica in famiglia non mancava. Mathias suonava l’arpa “ad orecchio” accompagnando in esecuzioni vocali se stesso e la moglie intrattenendo musicalmente anche i vicini e gli amici in piccoli concerti di musiche popolaresche. Georg August Griesinger, il primo biografo ed amico personale di Haydn, scrisse che ancora anziano il musicista ricordava le canzoni eseguite dai genitori. È sempre il musicista che ricorda all’amico di aver iniziato a cantare con i genitori all’età di cinque anni e, visto l’uso che fece di temi popolari nella sua musica, potremmo azzardare che il giovane Haydn abbia iniziato la sua carriera proprio come “folk singer”.

I Folksongs di Berio
L’Etnomusicologia italiana ha iniziato ad analizzare scientificamente quello che si potrebbe dire l’influsso della “musica anonima” (nel senso della musica popolare) sulla musica artistica nel primo quarto del XX secolo. Ciò è avvenuto soprattutto ad opera di Francesco Balilla Pratella che, curiosamente, pur aderendo ai dettami della nuova musica propugnati dal Manifesto tecnico della musica futurista del 1911, sentiva fortemente i richiami del “genio popolare” italiano. Probabilmente Pratella e coloro che lo hanno seguito riuscivano a trovare un certo atonalismo, una certa enarmonia, ed un’auspicata libertà ritmica nell’espressività etnofonica in una sorta di virtuosa riscoperta di un popolaresco passato che poteva aiutare a guardare il futuro.
Luciano Berio ha sempre onestamente confessato di avvertire un profondo disagio all’ascolto di quelle che lui chiamava “espressioni popolari spontanee” accompagnate dal pianoforte. Un disagio però, valutando con attenzione i fatti, non privo di un influsso creativo positivo. Le “incursioni” di questo compositore nel campo della musica extra-colta non furono poche. Ricordiamo Questo vuol dire che… (1968) per tre voci voce recitante e nastro magnetico su testi tratti dal repertorio folcloristico di diversi paesi raccolti in collaborazione con Roberto Leydi.
Il suo talento compositivo ebbe modo di esprimersi anche ne Il ritorno degli Snovidenia (1976) per violoncello e piccola orchestra basato su canti popolari rivoluzionari russi. Ma il serico filo impalpabile derivante dalla musica popolare che attraversa il Novecento lo si ritrova ancora come elemento di base della sperimentazione musicale ne La vera storia (1982) per soli, coro, attori ed orchestra.
L’interesse del Maestro per la musica popolare, però, data ancora ad anni precedenti. Già nel 1947 aveva scritto due canzoni su due antichi testi popolari, uno genovese e l’altro siciliano. Le due composizioni confluirono poi nei Folksongs (1964) per voce e sette strumenti che costituiscono un prezioso omaggio al grande talento musicale di Cathy Berberian. Undici canti popolari, o almeno presunti tali, provenienti da paesi diversi Stati Uniti, Armenia, Francia, Azerbaijan e Italia rinvenuti in vecchie registrazioni discografiche raccolti dalla voce di amici e conoscenti sono stati da lui reinterpretati sia dal punto di vista ritmico che da quello armonico dando a questi nuova vita in modo magistrale. Possiamo osservare qui una tradizione rispettosa delle radici espressive ma non utilizzata in maniera pedissequa. In Folksongs il substrato culturale di ogni brano viene commentato dal gruppo strumentale con idee musicali e proposte scaturite dalla mente del compositore con una varietà espressiva accattivante.
Circa questa antologia vocale vale la pena di ricordare le parole di Berio stesso che del suo arrangiamento dei brani dice: «Li ho naturalmente interpretati ritmicamente e armonicamente: in un certo senso, quindi, li ho ricomposti. Il discorso strumentale ha una funzione precisa: suggerire e commentare quelle che mi sono parse le radici espressive, cioè culturali, di ogni canzone. Queste radici non hanno a che fare solo con le origini delle canzoni, ma anche con la storia degli usi che ne sono stati fatti, quando non si è voluto distruggerne o manipolarne il senso».
Il musicista, traendo spunto da brani preesistenti ed in virtù delle sue esperienze artistiche, è riuscito a creare una sorta di modello idiomatico “diverso” nel senso etimologico del termine (de-vertere) nel quale confluisce la sua personale ispirazione e fa divenire il modello lessicale un nuovo paradigma.

Lucia Cortese

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